Perché sentiamo la necessità di organizzarci? Per raggiungere un obiettivo, utilizzare tutte le risorse disponibili, massimizzare l’efficienza… Tutte risposte corrette, ma ce n’è una più semplice e autentica: ci organizziamo perché non possiamo fare da soli. Dice un antico proverbio africano: “Se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi arrivare lontano, cammina insieme”

Pensiamo a cosa accade ad un ensemble di musicisti jazz: ciò che vogliono creare non può essere creato da solo. Ma a differenza delle orchestre classiche, delle rock band o di altre configurazioni musicali, gli ensemble jazz si distinguono perché fanno affidamento su una leadership condivisa, sulla collaborazione, sull’improvvisazione e su una sincera umiltà che rende onore al contributo di ogni individuo. E i risultati sono straordinari.

Ecco le quattro più importanti lezioni che il jazz può insegnare alle organizzazioni aziendali:

1. Distribuire la leadership

I leader di successo offrono anche ad altri l’opportunità di guidare. In una performance jazz, l’idea di una leadership condivisa include non solo assoli di ciascun musicista, ma anche momenti di leadership più “sottili”. John Patitucci, un grande bassista americano, definisce la leadership il “prendere delle pause” per creare spazio per gli altri membri della band. Siamo stati tutti parte di progetti in cui un uomo solo tende a dominare tutti gli aspetti direttivi ed esecutivi: l’obiettivo di sviluppo della leadership dovrebbe essere quello di dargli un periodo di riposo e creare anche lo spazio per gli altri.

2. Mantenere un ascolto totale

Le grandi performance richiedono collaborazione e i grandi leader sanno che la collaborazione richiede una capacità estremamente ben sviluppata di ascoltare veramente ciò che gli altri stanno dicendo. Suonare in un quintetto jazz significa ascoltare altre quattro persone che stanno comunicando con te tutte contemporaneamente. Nel lavoro in azienda, normalmente, il compito è più semplice, alle riunioni dobbiamo ascoltare una persona alla volta. L’ascolto attivo è contemporaneamente un’abilità, una forma d’arte e, soprattutto, una disciplina.

3. Pianificare senza avere un piano

L’improvvisazione nel jazz significa che una canzone non verrà mai suonata allo stesso modo due volte. D’altra parte, nelle pratiche gestionali spesso è previsto di garantire un prodotto o un servizio sempre offerto allo stesso modo. La saggezza sta nel trovare un equilibrio. Gli artisti jazz innovano ma all’interno di strutture e forme che sono condivise, prevedibili e flessibili. Lo stesso dovrebbe valere per le organizzazioni. La paura, a volte, è il più grande ostacolo a questo tipo di pensiero libero. Paura dell’ignoto, paura di fallire, paura di sembrare sciocchi. Miles Davis una volta disse: “Non temere gli errori. Non ce ne sono.” Nel jazz, una nota non è né giusta né sbagliata. È la nota che segue che farà la differenza. Per i manager ciò significa creare una cultura che incoraggi sia la sperimentazione che l’apprendimento continuo.

4. Essere umili e “servire la musica”

Umiltà significa sapere che anche gli altri possono avere grandi idee e dar loro l’opportunità di contribuire. Questo, naturalmente, può portare a conflitti quando ci sono visioni diverse di ciò che deve essere creato. Nel jazz, questi conflitti vengono risolti in tempo reale, usando il principio guida “servire la musica”. Quale modulazione o quale nota sarà più funzionale alla performance che si sta svolgendo? Lo stesso vale per le organizzazioni: tutti possono limitarsi nel portare avanti la propria agenda personale per creare insieme qualcosa di più grande e migliore per il progetto e l’organizzazione nel suo complesso.

Il jazz ci offre dunque molti insegnamenti utili per condurre e gestire progetti e organizzazioni di successo. Ed in particolare, nella volatilità del mondo contemporaneo, in cui non c’è più uno spartito scritto da seguire, queste lezioni diventano una linea guida di grande ispirazione.

(estratti da Grant Ackermann, “Four Leadership Lessons from Jazz“, Columbia Business School)